Dear Esther | Recensione

 

Non è sicuramente facile giudicare un titolo come Dear Esther: il progetto, nato nel 2007 come una semplice mod di Half Life 2, si è trasformato in qualcosa che va certamente oltre il semplice videogioco e l’intrattenimento, enfatizzando una storia che tocca l’amicizia, l’amore e l’infelicità umana. Il titolo è disponibile in digital delivery, su Steam, a € 6,99, doppiato e sottotitolato in inglese, anche se i thechineseroom hanno già rilasciato una patch per i sottotitoli in italiano, di cui vi lasceremo il link in descrizione. Se non avete pregiudizi e volete provare emozioni vere, seguite la nostra recensione su Dear Esther.

Emozioni prima di tutto

Il titolo comincia così: nessuna spiegazione, nessun dettaglio, un faro e poche parole, saremo solo noi, l’isola e la solitudine. Non c’è nessuna interazione con l’ambiente, nessuna interfaccia di gioco, a testimoniare il fatto che questo prodotto quasi non vuole essere un videogioco, ma una testimonianza, un qualcosa di più. Il gioco è un titolo in prima persona dalle solite meccaniche da first person shooter; ma qui non dovremo sparare ne potremo correre o saltare, avremo solo un piccolo zoom della visuale. Nell’arco di tutta questa esperienza vagheremo per l’intera isola, dove avremo solo una torcia con noi, per illuminare i luoghi bui.

Il tutto sarà sviluppato in 4 capitoli differenti, dove sostanzialmente la sola cosa da fare sarà camminare ed esplorare l’isola. Proseguendo nell’avventura ci farà sempre compagnia una voce, che non sappiamo se sia quella del protagonista o di un narratore esterno, che leggerà alcune lettere indirizzate ad una certa Esther, di cui sapremo ben poco, quasi nulla. Più andremo avanti, più esploreremo, più la voce e l’isola ci doneranno dettagli e altri misteri: perchè troviamo strani simboli nelle grotte e citazioni al vecchio testamento sulle rocce? Dear Esther è solo questo, non c’è un vero e proprio gameplay, ci sono solo emozioni e sentimenti.

Di sicuro non è da considerarsi un videogioco, ma un’esperienza dall’enorme attrazione emotiva e dalle tinte malinconiche, in grado di far assaporare il vuoto spirituale introspettivo del protagonista.

L’isola spirituale

Non sono molte le ambientazioni disponibili, ma nei vari paesaggi troveremo vaste scogliere, diverse navi distrutte dalle rocce, alcune grotte piene zeppe di strani simboli, il già citato faro e alcuni piccoli edifici abbandonati. Purtroppo i 4 capitoli dell’avventura si portano a termine in poco più di un’ora abbondante, due al massimo se esploreremo bene tutta l’isola. Tutto però è reso magnificamente dal Source Engine, probabilmente il suo migliore utilizzo, anche considerando i prodotti di Valve. Il gusto creativo, utilizzato per creare l’isola, è qualcosa di incredibile, sopratutto il livello nelle grotte e quello al chiaro di luna riescono a tenere a bocca aperta il videogiocatore.

Una meraviglia che trova pochi paragoni in questo settore. Così come trova pochi paragoni anche il sonoro: tutto punta molto sull’audio generale e sugli effetti ambientali. I nostri passi, uniti al soffio del vento e alle onde increspate del mare, si mescolano alle toccanti musiche di Jessica Cutty e alle parole del narratore. Il doppiaggio in inglese è reso in maniera magnifica, riesce a far trasparire ogni singola emozione e sofferenza di un’intera vita; tutto sembra scollegato, folle e fuori da ogni schema immaginabile, ma ogni singola parola riesce a creare un’empatia che forse poche persone riusciranno a decifrare.